"E' copiosa questa Valle di vene da ferro, perché tutti quei monti ne sono pieni et se ne cavano da più di 50 busi, o veramente fori, del continuo talmente che ne forniscono quindeci forni et altretanti ne fornirebbono, perciochè la terra sola di Coglio ne ha tanta abondanza ne suoi monti, che sono sterilissimi, ch'ella ne potrebbe comodamente servir dieci forni oltra quelli che serve, perché ivi le vene non mancano mai."
P. Correr, 1562
L'escavazione del ferro nelle montagne della Val Trompia risale a tempi remoti.
Alcuni studiosi ritengono che le miniere valtrumpline non fossero conosciute dai Romani e che soltanto con i Longobardi (secoli VI-VII d. C.) si cominciò a scavare il ferro nelle montagne della valle. Altri sostengono che ad esse fu dato invece inizio in tempi preromani, dalle popolazioni celtiche che abitavano la valle e che furono invece trascurate durante l'impero romano.
Un'importante testimonianza sulle normative riguardanti l'attività estrattiva durante il Medioevo sono gli "Statuta medalorum a venis" di Bovegno, redatti nel 1341, contenenti nove capitoli minerari di straordinaria importanza. In essi, viene sottolineata la natura del rapporto che legava i proprietari dei terreni dove veniva scavato il "medolo", termine utilizzato in tempi antichi per definire le odierne miniere, e gli addetti all'escavazione; vengono menzionate le imprese a struttura societaria, proprietarie delle quote dei "medoli"; infine, vengono stabilite alcune regole in materia di estrazione del minerale e di convivenza tra i minatori.
L'escavazione del minerale da ferro assunse una maggiore importanza nel periodo della dominazione veneta (1426-1797). Venezia perseguì una politica di esonero dai dazi per il trasporto delle merci e rivolta soprattutto alle "ferrarezze". La valle contava sulle proprie attività industriali, che permettevano l'esportazione dei prodotti locali, in cambio delle derrate agricole di cui era povera, date le caratteristiche ambientali del suo territorio. Le miniere, situate tra i 600 e gli 800 metri di altitudine, erano formate dalla zona di scavo e da piazzole per la deposizione del minerale. Le gallerie delle miniere formavano un dedalo di stretti cunicoli che seguivano l'andamento degli strati minerali, le "vene da ferro". Esse procedevano senza piani prestabiliti, a seconda che il minerale fosse disposto in senso orizzontale (disposizione detta "a banchi"), oppure verticali ("a filoni"); in quest'ultimo caso, le gallerie dovevano essere scavate dal basso verso l'alto. La "stagione" mineraria si svolgeva da novembre a Pasqua, allorché il disgelo, le piogge primaverili e gli acquazzoni estivi, riempiendo d'acqua i cunicoli, li rendevano pericolosi ed impraticabili. Durante la primavera ed il periodo estivo, i minatori tornavano ad essere contadini ed il lavoro in miniera diveniva così un mezzo per incrementare i guadagni personali, durante il periodo di sospensione dei lavori agricoli.
Dopo l'introduzione degli esplosivi, risalente al XVI secolo, ma nelle miniere triumpline verificatasi più tardi, le tecniche impiegate nell'estrazione del minerale non mutarono fino alla metà del Novecento.
Nei pressi della miniera, il minerale veniva sommariamente depurato della scoria rocciosa e suddiviso in mucchi, a seconda delle diverse qualità di "vena". A questo punto, subiva una prima cottura entro forni chiamati regàne, dove veniva privato delle impurità. Compiuta la torrefazione, si operava la scelta del minerale da inviare ai forni fusori di Valle Trompia e Valle Sabbia, trasportato lungo percorsi prestabiliti dai muli dei carrettieri.