Miniere


"Le miniere miglior, et di maggior quantità, sono in Val Trompia, massime sorte la terra de Coi, delle quali se ne serve anco Val di Sabia che non ha miniere."


D. Priuli, 1572

 

In Val Sabbia, la concentrazione di minerali è essenzialmente ubicata in una fascia ristretta di territorio, nei Comuni di Barghe, Provaglio V.S. e Preseglie. Per l'esiguità del territorio interessato e la scarsità di minerale, non si è verificata nei secoli un'attività mineraria condotta in modo continuato e di un certo rilievo.
Nel secolo XV risultavano attive numerose miniere di ferro, di modeste dimensioni, a Frerur in Gaver a Bagolino, ai Tre Cristi di Casto, in Gorgone a Treviso, a Ono, a Levrange, Lavino, a Nogna di Promo di Vestone, continuata anche dopo la caduta della Serenissima, ad Aveno di Prato, cessata dopo l'invasione del Piccinino nella Pertica nel 1439 e la distruzione dei suoi centri abitati.
All'inizio del Settecento, il panorama minerario valsabbino continuava ad essere vivace. Nel 1703, venivano sfruttate ancora 12 miniere di ferro, 3 di piombo, 8 di rame, 1 di ferro e piombo, 2 di argento, 1 di allume, sulle quali sin dal 1665 vennero imposte le decime dal governo di Venezia.
Poiché le miniere valsabbine non davano "vena" sufficiente per qualità e per quantità, il ferro fuso nei forni della Valle del Caffaro e del Chiese proveniva dalle miniere della Val Trompia, tra cui quelle di San Colombano, quella di Valdardo a Collio, di Bovegno e di Pezzaze.
Anche nell'immaginario popolare e nelle tradizioni folcloristiche, consolidatesi di secolo in secolo, il valtrumplino è visto come uomo di miniera, oltreché uomo delle fucine, mentre al valsabbino è abbinata immediatamente la sua attitudine alla lavorazione del ferro ad alla trasformazione del metallo in utensili dai diversi usi.
Il minerale veniva trasportato con grande fatica a Bagolino da San Colombano attraverso il Passo del Maniva, ed ai forni d'Ono e di Livemmo per la "via del ferro", nelle direttrici Ono, Passo Pezzeda, Collio-Bovegno e Navono, Passo Termine, Tavernole-Bovegno.
Particolare importanza, in questo contesto, aveva il trasporto del materiale, effettuato con muli e cavalli, i cui conducenti avevano eletto a loro protettore San Tommaso. Quando non era possibile attraversare le mulattiere e quando le strade impervie impedivano l'accesso ai forni, i pesi venivano trasportati a spalle, soprattutto da donne e bambini. Le strade del Maniva erano percorse da lunghe schiere di portatori i quali, preferibilmente d'inverno, si servivano di pesanti ordigni per scendere veloci dalla ripida costa del monte col carico di minerali.