Sedi Museali



Il maglio Averoldi di Ome

Grazie alle ricerche condotte in vari archivi da don Gianni Donni, la storia del maglio di Ome è stata ricostruita in alcune sue fasi fondamentali. Il primo elemento è un'indicazione stradale che reca la data del1430: gli abitanti della contrada affermano che si trovò graffita su un muro del maglio in occasione di un intervento su quell'edificio. Il maglio si trova lungo la serio la Molinara, nominata in alcuni documenti dei monastero di Rodengo. Dal secolo XII sono attestati diversi mulini attivi lungo il percorso del Gandovere, dalla Santa di Ponte (bivio Ome) al monastero di San Nicola. Tuttavia nelle carte del monastero non è documentato alcun mulino in località Grotta di Ome. Il primo documento è dunque quello dei 1566 conservato all'Archivio di Stato di Brescia. in data 5 agosto 1566 il mulino della Grotta venne affittato da Dominica di Jeronimo de Buegno a Bertolino di Johannis de Mazettis de Provezzis. Ogni due mesi l'affittuario doveva versare alla proprietaria alcune some di cereali vari, compresi frumento, miglio e panico. Nell'estimo del 1641 (sempre Archivio di Stato) compare un'indicazione importante relativa alle proprietà di Aloisio Battola e del fratello, figli di Tadeo Battola: Un cortivo con corpi dieci case, camere, solai et finili, portico, ara et horto et mulino con due ruote confina a mattina li detti fratelli, a mezzodì la seriola, a sera strada, a monte li sudetti, stimato L. 1860, piò 1, tavole 38. La detrazione del sesto per il molino L. 300. Aggravi: un cavallo et un somaro per i molini stimati L. 32.
Il maglio viene citato esplicitamente nell'estimo delle mercanzie, traffici e negozi del 1744 (conservato in Archivio di Stato):
Pavolo Q. Stefano Battola molinaro in un molino di una rota d'acqua mancante suo proprio L. 40. Il medesimo per una macinadora cime macina solo vinazoli L. 60. Il medesimo per un maglio di foghi due mancante L. 100.

L'esistenza di un maglio con due fuochi, con problemi per la quantità d'acqua che muoveva le ruote (acqua incerta), viene confermata dall'estimo mercantile del 1750. Pubblicato da Leonardo Mazzoldi nel 1966 sul supplemento de I Commentari dell'Ateneo, nel maglio lavorava lo stesso Pavolo del fu Stefano Battola e produceva ferri minuti. I catastici di Ome del 1809, del 1810 e del 1814 segnalano ancora l'esistenza del mulino in località Grotta e i relativi proprietari degli immobili. Dalla mappa 331 dell'anno 1851, al numero 17 risultava un maglio da forno ad acqua con abitazione, molino da grano e macina di olio ad acqua con abitazione e 19 orti. I proprietari erano Francesco Bono fu Francesco e Pietro Bono fu Luigi. Nel Diario Guida di Brescia e sua Provincia del 1895 Andrea Averoldi risulta titolare di una cava e di un maglio. nonché fabbricatore di strumenti agricoli. È un periodo in cui in Ome, oltre a queste, sono state rilevate solo attività agricole, oppure di trasformazione di prodotti agricoli (latteria sociale, il fabbricante di spiriti e liquori Bortolo Barbi e il fabbricante di paste Girolamo Giustacchini). Nel censimento del 1911 erano invece attivi un caseificio della ditta Vincenzo Rocco di Antonio, 5 mulini (alcuni sul Gandovene in località Valle), un maglio di proprietà di Pietro Averoldi dove si producevano attrezzi agricoli, con 3 dipendenti, una cava di pietra della società Lithos con 10 dipendenti e una cava di pietra di Pietro Averoldi. Nel frattempo era già nato Andrea Averoldi detto Maèr l'ultimo del ceppo degli Averoldi impegnato nella lavorazione del ferro secondo le tecniche tradizionali.

GLI INTERVENTI DI RECUPERO DEL MAGLIO AVEROLDI

di Carlo Pedretti


Al momento della prima visita, al di là dell'indubbio fascino sempre esercitato da un opificio abbandonato, la situazione generale appariva sensibilmente degradata. Tenaglie di ogni tipo e dimensioni, forme, martelli, piccoli stampi con ossidazione molto avanzata farcivano letteralmente ogni angolo e soppalco dell'edificio. Gli impianti produttivi versavano in uno stato di abbandono molto evidente. Si consideri che strutture di questo genere, a dispetto dell'apparenza rozza ed elementare sono assai delicate e si danneggiano già dopo pochi mesi di inattività, che possono diventare anche poche settimane se viene a mancare il flusso idraulico. E il maglio Averoldi era fermo da 15 anni!
Non migliore era lo stato delle opere di adduzione dell'acqua. Completamente interrate la condotta retrostante, quasi scomparsi i canali di derivazione; isolato dal flusso il tino di insufflazione d' aria nel forno, praticamente crollata la cappa sul focolare. La seconda ruota dedicata all'azionamento degli accessori (mole in pietra naturale, piccolo tornio, cesoia di cui sembra rimanere solo qualche traccia) era nel peggior stato.

Dal punto di vista della tecnica, il maglio (qui inteso nella sua accezione originale di macchina altalenante e non di intero edificio) dimostrava chiaramente, senza l'esame degli archivi, come l'officina fosse rimasta isolata dai fluissi produttivi. Gli interventi nel tempo, infatti, sono stati chiaramente tutti di stampo conservativo. Non è perciò azzardato supporre che la struttura attuale corrisponda. salvo le successive considerazioni, a quella seicentesca. Grazie ad un singolare concatenarsi di situazioni positive e negative, quali la sostanziale carenza d'acqua, la marginalità geografica, la deliberata scelta dei proprietari di coltivare una nicchia produttiva del ferro battuto senza buttarsi allo sbaraglio in un mercato che li avrebbe distrutti, tutto alla fine è conservato nello stile originale.


Prima di iniziare un restauro seppur conservativo, bisogna stabilire linee e limiti d'intervento. Nella fattispecie si deve tenere conto che, già con l'opificio in attività, molte parti degli impianti debbono essere periodicamente adeguate e sostituite: il manico altalenante dura al più un anno; l'albero di trasmissione dieci-quindici; le bocche battenti vanno smontate e rettificate ogni giorno; due volte all'anno vanno sistemati i focolari e il tino di insufflazione; le mole vanno spesso equilibrate, martellate e, oltre un certo periodo, ove non consumate, comunque sostituite per elementare sicurezza. Compiutamente non di restauro o ristrutturazione si tratta, ma di un manutenzione seppur straordinaria. Lo stesso tipo di cure in sintesi ,che ogni fabbro ben nato riserva all'attrezzatura che gli consente il proseguimento dell'attività. Ecco che il manico che si sbriciolava per la prolungata disidratazione è stato sostituito da un tronco stagionato e lavorato esclusivamente a mano con l'accetta. L'albero di trasmissione è stato liberato da una buccia marcescente sino a raggiungere la parte ancora solida; indi si è proceduto ad una accurata fasciatura con semi-vere in ferro, ottenuta a caldo su singola misura, accoppiate a bulloni nel pieno rispetto della prassi attuata ancora oggi nelle zone dove questi magli restano in attività. Ciò consente di conservare in attività l'albero controllando facilmente il grado di serraggio ed evitando la torsione (che ne rappresenta la morte). Si è quindi dovuto provvedere ai vari ceppi in larice, cunei, assi di adeguato spessore per l'incastellatura che non reggeva più le scosse del movimento. Tutto eseguito sul posto e manualmente come e necessario. Una sgradita sorpresa è venuta dalla ruota principale, che merita un capitolo a sé. Normalmente queste ruote sono composte da un robusto massello interno, diviso in ottavi di cerchio solidamente connessi da vere in ferro applicate a caldo. Su questa struttura viene costruita la ruota con i coppi, facilmente sostituibili, e con ulteriori cerchiature che ne fanno un complesso virtualmente monolitico. Una ruota siffatta dura la vita di un uomo e può facilmente essere rifatta.


Nel caso del maglio Averoldi, per motivi che toccherà allo storico chiarire, in epoca recente (forse agli inizi del secolo) si è scelto di sostituire la classica ruota in legno con una in ghisa da mulino, con i ceppi liberi ai lati e cerchiati da una semplice catena. Questa scelta causò fra l'altro l'impossibilità a contimumare l'uso dell'abituale condotta forzata (che ancora sporge dal soffitto del canale) e l'applicazione di una nuova condotta-scivolo molto angolata per consentire di adeguìare il tipo di flusso alle mutate esigenze idrodinamiche della ruota. Questa turbina fu inoltre bloccata all'albero di trasmissione tramite una complessa imbottitura di legno che però, a causa dell'invecchiamento del materiale, si è sconnessa già alla sola prova della rotazione manuale. Al momento in cui scrivo queste considerazioni sono già stati approntati ben tredici segmenti ad incastro in larice massiccio con cui rifare, in una sorta di maxi-puzzle, l'imbottitura e consentire un solidissimo collegamento al complesso ruota-albero. Altre rispettose cure sono state dedicate alla ruota degli accessori, anche qui le sorprese non sono mancate. Il tino di insufflazione è stato attivato con l'auspicio che la sua operatività residua consenta di alimentare senza altri interventi la forgia.

A opera finita si è scelto di creare l'accesso dei visitatori all'edificio del maglio dal passaggio ricavato a fianco della condotta, passando nell'ampio vano soprastante l'officina dove sono state allestite forme che istruiscono la progressione utilizzata nel forgiare i vari attrezzi tipici. In un vano contiguo si proiettano, per piccole comitive, supporti audiovisivi in argomento. Tutte le tenaglie e l'attrezzatura minuta, risanate e divise in categorie, sono facilmente fruibili dal visitatore. Scendendo si giunge infine all'officina vera e propria che, dopo il percorso esplicativo, può essere apprezzata in ogni suo particolare. Gli impianti e le macchine secolari possono così dimostrare il genio implicito nella loro apparente semplicità. In questo modo e seguendo un paziente e meticoloso percorso di recupero il Maglio Averoldi è rinato e nel giorno dell'inaugurazione farà ascoltare il ritmo del suo battito inconfondibile alla luce mutevole e rossastra della fiamma forzata.


Tratto da:
Comune di Ome, Il maglio Averoldi di Ome, Promozione Franciacorta-
Gruppo editoriale Delfo, 1999.


Per informazioni: Comune di Ome 030.652025 - 030.652283

Orari di visita: martedi e sabato dalle ore 9 alle ore 12. Il sabato è possibile assistere alla lavorazione del damasco.
Dalla fine di marzo alla metà di giugno visite tutti i giorni escluso il lunedi dalle ore 9 alle ore 12 e dalle ore 15 alle ore 18.
Per comitive e piccoli gruppi possibilità di visita tutti i giorni previa prenotazione in Comune.