Forni


"Questa vena cavata dal monte si conduce alla fornase nell'istessa maniera a punto, che si cuociono anco le pietre, dalle quali si cava l'istessa vena cotta in pezzetti piccoli. Et in questo essercitio si essercitano i fornasieri, et operarii de quattro, ò cinque homini per fornace …, et in dui, ò tre giorni si finisse da cuocere. Et così questa vena doppò cernita, et condotta al forno si raffina là entro, et continua il fuogo fino li cinque, et sei mesi, che mai cessa, lavorandovi il forno, che serve à tutta la maestranza con duodeci huomini, che guadagnano secondo li essercitij loro, perché alcuni portano il carbone, altri solecitano il forno veggiando giorno et notte."


G. da Lezze, 1609

 

In Valle Trompia, i forni fusori erano situati a metà strada tra le miniere e le fucine di affinazione. Requisito fondamentale nella scelta della loro collocazione era la vicinanza del fiume Mella, che consentiva di fruire in modo costante dell'energia idrica necessaria. I complessi edilizi dei forni erano collocati, quindi, tra il pendio della montagna ed il fiume o i suoi canali di derivazione. I materiali e la tipologia della costruzione non differivano dall'edilizia rurale locale, ma le dimensioni, la particolare collocazione e la caratteristica torre dell'altoforno ne conferivano l'aspetto industriale.
Il numero dei forni valtrumplini subì nel corso dei secoli una lenta e progressiva diminuzione; alcuni ebbero vita breve, mentre altri rimasero attivi sino alla fine dell'Ottocento.
Il loro funzionamento conobbe fasi alterne e lunghi periodi di inattività, riscontrabili anche attraverso l'esame del "Catastico" del Da Lezze, che, al momento della compilazione, nel 1609, riporta soltanto sei forni attivi rispetto agli otto riportati dai Rettori veneti un secolo prima: uno a Collio, due a Bovegno, uno a Pezzaze, uno a Tavernole ed il sesto a Brozzo.
Dei forni situati nella bassa valle non è possibile ricostruire la precisa localizzazione né l'aspetto fisico, mentre per quelli di Collio, Bovegno, Pezzaze e Tavernole i resti materiali rintracciabili, la toponomastica, le fonti archivistiche e le rilevazioni catastali permettono di comprenderne la fisionomia e le caratteristiche.
Il forno di Collio era situato in una stretta striscia di terra compresa tra il centro dell'abitato del paese ed il fiume Mella. L'edificio, posto ad un livello di poco superiore rispetto a quello del letto del fiume, sorgeva ad una decina di metri di distanza da esso. Del complesso dell'opificio non resta alcuna testimonianza materiale: il luogo in cui sorgeva, ancora oggi chiamato "Fùren", è un prato in riva al Mella, facilmente esposto alla furia delle acque in caso di piena.
A Bovegno, vi erano due forni fusori: quello di Castive ed il forno Brolo.
L'ubicazione del forno di Castive è oggi individuabile grazie ad una serie di elementi: la località da cui prendeva il nome, Castive, le indicazioni desumibili dalle mappe catastali ottocentesche e da alcune tracce materiali osservabili ancora oggi. Il secondo forno di Bovegno era situato nella località Brolo, dalla parte opposta del Mella rispetto al paese, presso lo sbocco della cosiddetta "Strada delle miniere", che da Ludizzo scendeva a Bovegno. L'edificio del forno e parte dei "carbonili" sono divenuti abitazione, mentre alcuni depositi abbandonati hanno mantenuto l'originaria fisionomia.
Anche Pezzaze contava su due forni per la fusione del minerale: uno nella frazione di Mondaro, lungo il torrente Morina, l'altro sul fondovalle, nella località Rebecco di Lavone, dove alcuni "carbonili" ed una costruzione in pietra, forse appartenente alla tromba idroeolica, sono ancora oggi una evidente testimonianza della manifattura che contraddistinse questa località.
Il forno fusorio di Tavernole, recuperato per usi didattico-museali, è situato sul versante orografico sinistro, sul greto del fiume e collegato alla strada di valle per mezzo di un vecchio ponte in pietra dall'arco ogivale, dove vi è una cascata d'acqua. L'attuale struttura risulta pressoché inalterata rispetto al secolo scorso, quando l'imprenditore Francesco Glisenti nel 1874 innovò le tecnologie in esso impiegate per produrre la ghisa e ne fece la tappa centrale del ciclo produttivo che, dalla miniera Alfredo di Bovegno, si completava negli stabilimenti di Villa e Carcina.